
Il sindaco di Firenze: “Il flop alle urne? Sono mancate le proposte forti ma la colpa non è solo di Letta, va cambiato tutto il gruppo dirigente”
«Il Pd deve uscire dal congresso con un nuovo gruppo dirigente e basta subalternità verso Conte o Calenda», mette in chiaro Dario Nardella, sindaco di Firenze. Facendo capire, pur senza fare nomi, che nessuno dello stato maggiore del partito avrebbe le carte in regola a candidarsi. E che «bisogna recuperare voti andati ai 5Stelle o al terzo polo mettendo in campo una proposta forte sul lavoro e per i lavoratori». Quanto a lui, indicato come un possibile sfidante di Bonaccini, per ora Nardella non si sbilancia, ma da quel che dice si può avere una traccia delle sue future mosse: «Il fronte dei sindaci è una realtà, se il Pd tiene è perché c’è una classe dirigente nei territori, che non può stare aguardare».
In Direzione, avete ammesso che il Pd non ha perso solo per colpa di Calenda e Conte e che qualche errore lo avete fatto. Quali non ripetere? «Abbiamo riflettuto anche sulle nostre colpe. Non siamo stati capaci di costruire alleanze competitive come quelle della destra, ci siamo lacerati, una volta a favore dei Cinque Stelle e un’altra sul Terzo polo: questo è l’errore che non possiamo più permetterci di fare all’opposizione. Quindi no a un congresso referendum su Conte o Calenda».
Non è illusorio pensare che il congresso non risolva il nodo delle alleanze? «Ora non dobbiamo dialogare in parlamento con le altre minoranze, ma con la nostra agenda. Mi ha colpito la subalternità psicologica e politica a Conte e Calenda, che possiamo superare tornando protagonisti. Dobbiamo recuperare i voti persi, andati da una parte o dall’altra, non delegando battaglie che devono essere nostre. E non siamo riusciti a usare un linguaggio identitario ed efficace».
Un bel mea culpa… «Beh, i Cinque Stelle il reddito di cittadinanza lo hanno promesso, ottenuto e difeso. Noi non siamo stati credibili perché non siamo riusciti a caratterizzarci su battaglie identitarie forti. Dovevamo scegliere messaggi molto chiari e battere di più sulla forza dei territori, in cui siamo credibili. Le parole senza i fatti sono vuote. Nelle città dove vinciamo, il riformismo ha un senso e significa per esempio realizzare le tramvie a favore delle periferie. Non dobbiamo guardare il Paese dall’alto, recuperiamo umiltà e il linguaggio semplice di chi vive tra le persone».
Letta ha sbagliato a chiudere ai 5 Stelle che hanno fatto cadere Draghi, per poi allearsi con chi non gli ha mai votato la fiducia come verdi e sinistra? «Gli errori non sono mai solo del segretario, ma di un gruppo dirigente. E per questo il nuovo Pd lo deve cambiare».
Gli elettori si aspettano di sapere se lei si candida. «Sono molto chiaro: alimentare ora una corsa alle auto candidature non serve, rischia di essere dannoso: abbiamo bisogno prima di definire i nostri valori e le nostre idee con un forte senso di unità e poi ci misuriamo sulle leadership».
Non è molto chiaro in verità. Scende in campo o no? «Il Pd ha bisogno di una leadership forte che deve nascere a valle di un confronto vero, franco e aperto. Cambiare segretario senza cambiare partito non serve a niente. Io sono pronto a mettermi in gioco sulle idee, ma non partecipo a questa corsa di autocandidature».
A proposito di idee, non si sono sentite in campagna elettorale parole nette su diritti, adozioni gay, reddito di cittadinanza, pace. Perché vi definite ancora un partito di sinistra? «Abbiamo parlato di tutto, anche di questi temi, ma non siamo riusciti a caratterizzarci su un messaggio forte e chiaro, come ha fatto la destra sulle tasse e il M5s sul reddito. Se devo indicare un messaggio su cui costruire la nostra identità, quello è il lavoro: non solo dipendente, ma delle piccole e grandi imprese, come leva di redistribuzione del reddito. Un grande piano per combattere la povertà, che guardi al sud, e un piano sul lavoro».
Per dare un segnale in questa fase, il Pd dovrebbe farsi guidare da una donna? «Non credo che il partito debba decidere la sua leadership come risposta al sesso del presidente del consiglio, ma in generale la presenza di donne ai vertici dei partiti è un fatto positivo».
Lei andrà in piazza per la pace? «Ricordo che a Firenze in marzo abbiamo portato in piazza 20 mila persone per la pace e solidarietà al popolo ucraino. Abbiamo portato tutte le bandiere, partiti, sindacati. Io in piazza ci andrò con le mie parole d’ordine, distinguendo aggredito e aggressore. Quando ho incontrato Zelensky a Kiev ad agosto, mi ha detto “noi combatteremo fino all’ultimo ucraino”. Il perseguimento della pace si può ottenere solo con un’Europa forte e senza abbandonare l’Ucraina».